Finalmente?

“Finalmente” e’ la prima parola che e’ venuta in mente a tutti quando la Commissione europea ha presentato la sua proposta sull’eliminazione del regime di visti per Serbia, Montenegro e Macedonia (ops, FYROM) a partire dal 2010. E’ solo una proposta, per ora, ma siccome e’ da un pezzo che se ne parla, ci sono buone possibilita’ che a Bruxelles ne abbiano le tasche piene e che quindi la approvino senza colpo ferire.

E d’altra parte, dopo tanto bastone, un po’ di carota per gli amici Serbi ci vuole pure, no?

Finalmente, si diceva, perche’ per questa famosa «white Schengen list» ci sono voluti un bel po’ di lavoro, e di negoziati, e di verifiche, e di nuove regole.

… e un bel po’ di attesa, direbbero molti Serbi, secondo cui la decisione arriva con un ritardo di 10 anni.

A molti Serbi in realta’ non interessa neppure tanto entrare a far parte dell’Unione, quanto uscire dalla gabbia di passaporti, consolati, appuntamenti, visti e permessi oer andare praticamente ovunque che non sia in Russia.

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Negli ultimi sondaggi, infatti, solo il 61% della popolazione voterebbe SI all’ingresso della Serbia nell’UE, mentre ben l’82% e’ favorevole all’entrata della Serbia nella white Schengen list.

In ogni caso, presto (forse, speriamo), i nostri amici belgradesi potranno venirci a trovare senza visto. Sempre che in Italia di stranieri ne facciano ancora entrare.

Fuori dal tempo (continua)

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Dopo aver bevuto un po’ di rakia con un trio di cacciatori di passaggio, e piuttosto scoraggiati dall’assenza di cinghiali, i due ti invitano a cena.

La mammina prende qualche uovo e del formaggio di pecora fatto in casa, il monaco mette su una frittata e un po’ di porcini appena raccolti.

Completano il pasto pane di campagna e cipolla a volonta’.

Il monaco – non so neanche come si chiama – dice che non ha bisogno di nulla, tranne che di Bog. Dio.

Anche il cellulare lo potrebbe gettare ai maiali.

Stando cosi’ fuori dal mondo, poi, si capisce meglio come va il suddetto. Almeno dice.

Si finisce presto a parlare di religione, della fine del mondo, della terza guerra mondiale e della venuta dell’Anticristo.

Arrivera’ ben presto, neanche a dirlo.

Anzi, secondo lui e’ gia’ bell’e che arrivato: e’ il principe William, il figlio di Lady D.

Fuori dal tempo

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Il Sud della Serbia e’ un posto ancora estremamente rurale. Povero. Agricolo.

Ed e’ proprio li’ che si possono fare degli incontri che solo nei film di Kusturica.

Ad esempio, cos’e’ quella costruzione che si vede la’ in fondo? Un granaio? Una stalla?

Sbagliato: un monastero.

Nel mezzo del nulla, a chilometri dal primo centro abitato, ci vive un monaco. Uno.

C’e’ anche una vecchia signora che ti prepara il caffe’ e magari pure la cena. Poi scopri che e’ sua madre.

Vivono cosi’, lui e lei, in mezzo a pecore, funghi e galline che gli danno un po’ tutto quello di cui han bisogno.

Niente energia, niente acqua corrente. Il cellulare si pero’: per quello c’e’ un pannellino solare e il caricabatterie.

Almeno finche’ fa bello, possono parlare con qualcuno.

Carri e carretti

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Sulle strade del Kosovo puoi trovare veramente di tutto.

Il traffico come quantita’ non e’ intensissimo, ma la qualita’ del traffico che c’e’, e’ micidiale.

Spesso si creano code interminabili perche’ un camion resta in panne in mezzo all’unica strada disponibile.

Altre volte, c’e’ un poveraccio con il suo carretto ad asino che tappa tutta la corsia.

Ecco allora che la gente si esaspera e supera il carretto, in cuva, in salita, con nebbia, con neve, con pioggia.

E cosi’ arriva l’incidente.

Piu’ raramente del carretto si puo’ incontrare il carro.

Armato, s’intende.

Oggi sempre meno. Ma dai segnali per la strada si capisce bene che un tempo ne devono essere circolati ben di piu’.

A proposito: non ho mai capito che cappero vogliono dire quei segnali gialli. Li mettono prima dei ponti.

Se qualcuno ne sa qualcosa, o vuole fare ipotesi, si faccia avanti.

Tu casa es mi casa

Tra KS e Serbia ci sono una manciata di miseri, puzzolenti confini amministrativi.

Ma sono le frontiere piu’ calde che puoi trovare nel raggio di centinaia di chilometri.

Nel ridente paesino di Merdare c’e’ il punto di valico principale. Lo si capisce dal numero di macchine, macchinoni, camion e spazzatura che nei momenti caldi dell’anno ravvivano la vita – altrimenti piuttosto monotona – di poliziotti e doganieri da entrambe le parti.

Superare Merdare puo’ richiedere lunghe attese, specie a Luglio o sotto Natale.

Ma di per se’ non e’ per niente complicato. Basta avere i documenti giusti.

Ad esempio, ecco, non questo:

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Vai a spiegare al poliziotto serbo che ci hanno pure messo la scritta in cirillico, per fargli piacere. Non cambia una virgola. Per loro e’ carta straccia.

Cosa serve allora per entrare in Serbia? Se siete stranieri, un passaporto internazionale, purche’ abbia un timbro di ingresso “legale” in Serbia (cioe’ attraverso una  “vera” frontiera). Se siete nati in questo angolo di mondo, invece, vi bastera’ presentare la Licna Karta dei bei tempi della YU. Quella blu, il libricino dimensione figurine Panini, per chi sa cosa intendo. Oppure, ovviamente, un passaporto serbo.

In altre parole, se siete un Albanese del Kosovo, vi servono documenti che potete praticamente ottenere (o rinnovare) solo in Serbia.

Ma poco importa, dato che pochi Albanesi hanno hanno intenzione di avere in tasca un passaporto serbo. A Belgrado non ci vanno, e basta.

Valicare Merdare nel senso inverso (dalla Serbia per entrare in KS) invece e’ piu’ semplice: vale tutto.

Persino (pensate un po’) il passaporto “Republika e Kosoves”. Persino il passaporto serbo.

Fin qui le regole ufficiali.

Quello che forse non si sa molto in giro e’ che parecchi Serbi del Kosovo hanno iniziato a fare domanda per avere i documenti kosovari.

Oh gia’, proprio quello li’ sopra, quello dello Stato-canaglia, con su scritto Republika e Kosoves. Alla faccia di quello che dicono i politici su a Belgrado. E certo, loro in Kosovo mica ci vivono tutti i giorni.

E pensate un po’, ci sono anche tantii kosovari Albanesi che, nonostante abbiano magari gia’ il passaporto Republika e Kosoves, continuano a fare domanda e ad ottenere il rinnovo del passaporto serbo. La Serbia mica glie lo nega ( come potrebbe? Kosovo je Srbija…). Perche’ chiedono il rinnovo? Provate un po’ a presentare un passaporto Republika e Kosoves in Russia, in Cina, in Spagna, in Grecia…

Per le questioni di principio, insomma, vale la pena battersi fino a un certo punto…

Saatchi & Saatchi

Lo chiamano “nation branding”. Ovvero “dare l’immagine a un paese”. Chi di voi guarda la BBC conoscera’ a memoria la musichetta di “Malaysia truly Asia” o meglio ancora “Incredible India”. Ecco, piu’ o meno e’ quello.

Con l’India pero’ e’ facile. C’e’ pieno zeppo di turisti fricchettoni che vanno in India, da che mondo e’ mondo. Si sa gia’ cosa c’e’ in India: ci sono gli elefanti, le spezie, le scimmie, i fachiri, i templi indu’ e tante altre belle cose.

Prova invece a promuovere un paese il Bangladesh. Che ci trovi in Bangladesh? I missionari? I bambini senza tetto? La cacarella? Robe ostiche da vendere. Non e’ che ti invoglino molto ad andarci. Ma ci saranno delle cose belle pure in Bangladesh no? Certo, bisogna solo farlo sapere. E’ un lavoro per quelli del nation branding. Ti fanno una specie di lifting al”immagine del paese. E allora, vai col “Beautiful Bangladesh” !

O la Romania. Che c’e’ in Romania? Dico, oltre a Dracula, che lo sanno tutti. Zingari forse? Stupratori? Camionisti ubriachi alla guida? No, quelli (almeno secondo il TG5) si trovano gia’ tutti in Italia. Altro che di nation branding, avrebbe bisgono la Romania… Che comunque ci prova.

Per il Kosovo e’ la stessa cosa. Che immagine ha? Diciamoci la verita’: merdosetta. E mi rendo conto che questo blog non sempre contribuisce a ripulirla.

Comunque ora ci pensera’ Saatchi & Saatchi! Una delle piu’ grandi societa’ di pubblicita’ del mondo, che e’ appena stata incaricata dal governo di Pristina di dare una bella liftata all’immagine del Kosovo. Mica gratis, e’ chiaro: 5 milioni di euro.

Sono poi curioso di vedere su quale folgorante attrattiva punteranno i nostri cervelloni per il loro branding. Forse sullo spettacolo delle case distrutte? O sul brivido delle mine? Sul mistero dell’uranio impoverito? O sull’aria pura delle centrali a carbne?

Dal canto mio mi permetto di suggerire al signor Saatchi un paio di idee, certo non nuove ne’ originali.

il monastero di Decani:

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E le montagne di Brod e di Brezovica:

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Se stavate cercando una meta dove trascorrere Martedi grasso, sappiate che l’agenzia di viaggi inglese Regent Holidays propone gia’, come novita’ assoluta per il 2009, un pacchetto turistico a 550 sterline per un romanitco weekend kosovaro.

Chissa’ che non ci sia davvero qualche turista non-fai-da-te di alpitouriana memoria che non voglia, spinto da un irrefrenabile desiderio di esotismo, avventurarsi in un tour guidato della nostra repubblichetta. Magari gia’ il prossimo weekend. Giusto in tempo per provare il (dubbio) piacere di assistere alle celebrazioni del primo anniversario dell’indipendenza…

Mr. Spazzaneve

La strada che porta dalla Serbia meridionale al confine col Kosovo e’ stata una specie di ascesa in vetta.

Fino all’ultimo villaggio prima del confine, qualche spazzaneve si vedeva che era passato.

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Gli ultimi dieci-quindici chilometri che portano al ridente confine di Merdare invece bisognerebbe farli con le ciaspole, piu’ che con la macchina.

Questa volta per lo meno non c’e’ coda al confine. Non come quindici giorni fa, quando cento macchine di diaspora mi hanno fatto aspettare ben quattro ore sotto la neve prima di passare. Stavolta la diaspora si affolla nell’altro senso, per tornare in Svizzera, Germania e Italia dopo le feste natalizie – oops, “di fine anno”.

Ancora una volta mi tocca pagare l’odiosa assicurazione di confine, una vera e propria truffa. Ormai, soprattutto dopol’indipendenza, i poliziotti non si bevono piu’ il foglietto fatto dalla mia assicurazione che dice che la mia carta verde copre anche il Kosovo. NIente da fare. Il Kosovo e’ fuori dal circuito della carta verde, devi pagare un’assicurazione provvisoria di soli 70 euro al mese o (a tua scelta) 530 all’anno. Praticamente come quella italiana che ho gia’, solo che quella copre tutta Europa, quella kosovara solo il Kosovo.

MI risolleva il morale solo un turista giapponese che scende dal pullman da Belgrado e spara una bella fotografia con tanto di flash proprio al confine. Subito sgamato, portato di peso in guardina, interrogato come fosse il peggiore dei delinquenti spioni. Lo lascio mentre incredulo cerca di spiegarsi, con abbondanza di gesti, ai suoi interrogatori.

La strada dopo il confine e’ ancora peggio: c’e’ stata una nevicata storica, ma di spazzaneve nemmeno l’ombra.

A Pristina le strade da giorni sono delle piste da sci: macchine che fanno testacoda, pedoni che sgommano. Nessuno pulisce, e fa talmente freddo (siamo a -7 verso mezzogiorno) che la neve non si scioglie.

Questo naturalmente non ferma gli impavidi auto larjeisti, che imperterriti continuano a sparare acqua (cioe’ ghiaccio) in abbondanza.

Per domani sono previste altre nevicate, ma speriamo non si esageri troppo: guardate quanta ne ho gia’ sul mio davanzale…

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Autoput

Il poliziotto mi ferma, appena ho superato il casello dell’autostrada Belgrado-Nis.

Guardo la cintura – ce l’ho allacciata. Le luci – sono accese.

La Serbia e’ uno di quei paesi (la Russia e’ un altro) dove vedere la polizia non ti fa mai sentire particolarmente tranquillo. Anzi.

“Dove vai?” mi chiede.

A Pristina. Ma c’e’ qualche problema?

“No no. Passi per Nis?”

Certamente, gli dico.

“Che mi dai un passaggio?”

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Due ore con un poliziotto in macchina, era un’esperienza che mi mancava. Per fortuna avevo con me un CD dei Bjelo Dugme.

Mi diverte, dare passaggi. Soprattutto in Serbia, c’e’ sempre gente con il pollicione fuori.

La gente mi tiene compagnia. Quando guido, dopo un paio d’ore mi viene sonno.

Con gli autostoppisti invece, almeno si parla un po’. La conversazione e’ limitata ad argomenti che sono alla portata della mia conoscenza del serbo, cioe’ il tempo, il traffico, il lavoro che non c’e’. Il tutto condito da abbondanti “katastrofa! “, che e’ un commento semplice ma che si adatta sempre bene a tutte le situazioni, comprese le tre di cui sopra. Pessimis-fatalismo balcanico.

Mi ricordo quella volta che vicino a Novi Sad abbiamo raccattato una ragazza. Puzzicchiava un po’. Chissa’ perche’, e’ raro trovare ragazze che puzzano. Uomini si, ma le ragazze di solito – anzi – sono sempre in super-tiro. Lei sale e si mette a cantare a squarciagola delle arie italiane, conosceva tutte le parole a memoria. A un certo punto mi fa “Fermati qui”. Mi guardo intorno: siamo in piena campagna. Le chiedo se e’ sicura. E’ sicura. Ringrazia, scende. “Io lavoro qui”. Con la coda dell’occhio, la vedo che si avvia verso una piazzola dove c’e’ la sua sedia.

Quello che mi ha fatto piu’ innervosire di tutti invece e’ stato un ragazzino.

Sera tardi, piove. Strada Prokupjle-confine, un rodeo di sessanta km a base di buche, lavori in corso e curve. Il moccioso – avra’ avuto dieci anni – chiede un passaggio. Lo carico, partiamo. Va a un villaggio che e’ a una quindicina di chilometri. Gli offro del cioccolato che avevo in macchina, lo prende, non ringrazia, se lo pappa tutto senza dire niente. Al vilaggio, scende, non saluta, non ringrazia, chiude la porta. Che educato, penso andandomene via. Poi lo sento che mi chiama da dietro, mi fermo, apro il finestrino. Che vuoi? “Che mi daresti cento dinari?”

Tra i miei passeggeri peggiori un posto d’onore merita infine quel vecchio che ho caricato una volta su una strada dopo il confine col Kosovo, nel bel mezzo del nulla.

Dove va? gli chiedo.

“Non sono ubriaco”, risponde lui, con pesante alito vinoso.

Mi rendo conto del grave errore, ma ormai era gia’ salito. Porca miseria. Si mette a parlare di vino e birre, poi tira fuori dei soldi per il passaggio, gli dico no grazie. Impreca in abbondanza, mi da’ pacche sulle spalle, mi offre ancora soldi, gli dico di nuovo che no, i passaggi li do gratis. Per fortuna il tragitto e’ stato breve: voleva solo farsi portare alla prossima taverna.

Samo samopravo

Della viabilita’ balcanica si potrebbe parlare a lungo.

E a lungo in effetti spesso se ne parla, dato che la lunghezza (insieme alla lentezza) e’ la caratteristica principale dei viaggi in questo angolo di mondo.

Nella piu’ totale assenza di aerei e di treni, il viaggio in macchina e’ l’unica opzione praticabile. La strada, quindi, la fa da protagonista.

Strada statale, si intende: la rete autostradale e’ un lusso che pochi paesi (Croazia, Slovenia…) si possono permettere. In Serbia ce ne sono due, in Macedonia ce ne sono dei pezzetti (ma si stan dando un gran daffare per farne altri), in Albania una (breve), in Romania pure una (breve). Un’autostrada!

In Bosnia, Montenegro, Kosovo – zero.

Quindi, si diceva, gran viaggi su strada. Pristina sara’ la citta’-cesso che tutti conosciamo, ma se non altro e’ in posizione srategica: tutto e’ a sette ore di macchina. Tirana? Sette ore. Grecia? Sette ore. La costa del Montenegro? sette ore. Belgrado? se non avete lo stampo della dogana serba, sette ore. Sarajevo? sette ore.

Parliamo ovviamente di sette ore a ritmi lumacheschi, perche’ i chilometri a conti fatti non e’ che siano mai tanti.

Colpa delle curve – sicuramente, delle buche – certo, ma soprattutto della varieta’ di specie animali, vegetali e minerali che popolano le strade balcaniche.

Ma oltre ad animali domestici e non, vivi e meno, oltre a ciclisti al buio, caretti del fieno, trattori di letame e altre amenita’, a funestare gli spostamenti del viaggiatore balcanico ci si mette poi anche la carenza cronica di segnaletica stradale.

Se c’e’, puo’ poi capitare che non sia proprio di chiarissima interpretazione:

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e a volte pure poco aggiornata

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Inevitabile dunque che l’automobilista straniero debba ricorrere al tragico aiuto del passante di turno.

Troppo educato per dirti che non capisce una mazza di quello che gli stai chiedendo, ma troppo ospitale per non farsi in quattro per cercare di aiutarti comunque, il passante medio balcanico e’ quasi sempre all’origine di sciagurate perdite di tempo e benzina.

Rimango poi sempre affascinato dalla sua visione del mondo, che si sviluppa su di un modello geometrico di stupefacente linearita’. Una linea dritta, in poche parole.

Questo si traduce, il piu’ delle volte, nella risposta che tutti in realta’ vorrebbero sentirsi dare, se sapessero di potersene davvero fidare: “samo pravo”. Sempre dritto.

Capita rare volte che le indicazioni possano iniziare con un “gira a destra…” oppure “la seconda a sinistra…”, ma presto o tardi il “samo pravo” salta fuori. “Gira a destra e poi samo pravo”. “La seconda a sinistra e poi samo pravo”. Una volta al ristorante il cameriere mi ha pure detto che il cesso era “samo pravo”.

Comunque, il viaggiatore, dopo aver ringraziato il gentile passante di turno, e’ reso euforico dalla buona notizia di essere sulla strada giusta. Sempre dritto.

Egli pero’ ripiomba presto nello sconforto, quando constata con mano che al mondo – com’e’ peraltro noto – esistono anche curve, incroci, e una serie di altri imprevisti che fanno suonare il “samo pravo” di cinque minuti prima come una sonora presa per i fondelli.

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Albania, estate 2008, al confine col Kosovo

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Romania, estate 2008, strada “Transfagarasiana”


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Serbia, primavera 2007, ponte auto+treno vicino a Jagodina

Oggi samopravo compie un anno!

E’ stato un anno in cui non c’e’ stato molto da sbadigliare, e in cui abbiamo raccontato l’indipendenza del Kosovo, gli scontri a Belgrado, l’assedio a Mitrovica, l’arresto di Karadzic, l’assoluzione di Ramush, i processi al tribunale dell’Aja, le elezioni in Serbia e in Kosovo, e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.

Grazie a tutti quelli che hanno animato e contribuito alle numerose ed accese discussioni, in cui sicuramente tutti abbiamo imparato molte cose, tra cui la pazienza.

Grazie ancora e continuate a seguirmi!

Janjevo

Se c’e’ una cosa bella del Kosovo e’ che riesce ancora a sorprenderti, anche quando pensi ormai di aver visto un po’ tutto quel che c’era da vedere.

E’ incredibile come, in un posto cosi’ piccolo e con solo 2 milioni di persone, riesca ad esserci una tale varieta’ e un tale intreccio di culture, lingue, storie, persone.

Prendiamo Janjevo, per esempio.

Ci sono andato per la prima volta ieri, con alcuni amici. Qualcuno di loro c’era gia’ stato. Meritava una visita.

Janjevo e’ un paesino a una trentina di km da Pristina, che versa in stato di quasi-abbandono.

Molte case tradizionali stanno cascando a pezzi

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Altre sono proprio state abbandonate.

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Ciononostante si possono ancora riconoscere bellissimi edifici, come questo. Porta ancora la data di costruzione sul sottotetto: 1928

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Mi rendo conto che sarebbe meglio dire: “edifici che una volta erano bellissimi”. Ma appunto, vi dicevo che il paese versa in condizioni di salute un poco scadenti.

L’unica vistosa (e fastidiosa) eccezione alla decadenza generale e’ la chiesa:

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Nuova di pacca. Pagata non voglio pensare da chi. Spero non dagli Janjevesi.

Chiesa peraltro cattolica, vi faccio notare: si perche’ a Janjevo ci abitano Rom e croati. Croati si fa per dire, nel senso che sono gente che parla serbo di fede cattolica, e di conseguenza si autodefiniscono croati. Non so, se andassimo a vedere l’albero genealogico, quanti di questi hanno parenti a Zagabria e dintorni. Comunque.

Quando ti incammini sulle colline per sfuggire alla canicola di Agosto, ecco che quando meno te l’aspetti appare – a sorpresa – una teqe (“tec’he”), una piccola moschea, ormai praticamente in disuso

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all’interno della quale trovi una tomba musulmana in cui riposa in pace non si sa bene chi (forse un vecchio imam del paese).

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Peccato che la vecchia moschea del paese sia invece in uno stato pietoso…

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E cosi’. Questa e’ Janjevo, piccolo angolo di Kosovo dimenticato piu’ o meno da tutti, lontano dai riflettori.

Chissa’ qual e’ il destino di un posto come questo.

Forse morira’ con l’ultimo dei suoi abitanti, se le nuove generazioni decidereranno di andare a cercare fortuna altrove.

Forse invece, come in quasi tutto il Kosovo, i vecchi edifici tradizionali e di inizio secolo saranno buttati giu’ (troppo costoso restaurarli, e chis e ne frega se sono antichi?), rimpiazzati da edilizia ad alta densita’.

Spazzato via dalla cultura del profitto a tutti i costi, che ormai – da queste parti – sembra l’unica cultura rimasta.