Back online

Al giorno d’oggi non ti puoi piu’ distrarre neanche un secondo, che se no va tutto a quel paese.

Metti su un posto sul Caucaso, vai via qualche giorno, e ti scompare il blog.

Se il blog fosse piu’ conosciuto, avrei subito pensato a una censura di Putin e i suoi, ma per le manie di grandeur c’e’ tempo.

Comunque, cio’ che conta e’ che da oggi il blog e’ tornato online, il post sul Caucaso e’ li’, purtroppo.

Per la cronaca, il problema di visualizzazione si manifestava solo con Internet Explorer. Sono andato a controllare e ho scoperto con rammarico che il 51.4% di voi che leggete samopravo lo usa ancora!

Un motivo in piu’ per passare una volta per tutte a Firefox. E’ ure uscita da poco la versione 3. E’ veloce, carino, intelligente, sicuro, gratis, si installa con un clic, ha migliaia di plugin ed espansioni, perche’ usare ancora il marcione dello zio Bill?

Foxkeh

25 Aprile

Non dico in Francia, dico in Serbia e in Kosovo, paesi che con tutto il rispetto non vantano certo secoli di democrazia e liberta’ di informazione, ci sono telegiornali dieci volte migliori di quelli che abbiamo in Italia. Parlano (pensate un po’!) politica interna, di esteri, di societa’, di ambiente. Notizie vere porca miseria!.
Da noi? Morti sulla strada, papa, padre pio, cardinali, stupratori, cardinali-stupratori, stupratori rumeni, stupratori slavi, baby-gang slave, e l’ultimo calciatore della juve che si e’ trombato una velina di Striscia.
Cito Marco Travaglio:

Il V2-Day, almeno per come lo vedo e lo auspico io, dovrà rimuovere il macigno “di sistema” che blocca la libertà d’informazione. E dovrà dare la sveglia ai giornalisti, perché riscoprano i valori profondi della propria missione: per esempio, il dovere di dare tutte le notizie. Perché il problema in Italia sono anche i politici, gli editori e certi direttori. Ma soprattutto il problema sono i giornalisti, che spesso si autocensurano prim’ancora che qualcuno li censuri. Come diceva Leo Longanesi: “In Italia non è la libertà che manca: mancano gli uomini liberi”

Ecco.

La marcia del V2-Day

Ujë/Voda

L’acqua (ujë in albanese, voda in serbo) che esce dal rubinetto qui e’ meglio evitarla. In ogni caso, spesso non c’e’, giusto se uno volesse cadere in tentazione.

Meglio quella in bottiglia, specialmente se non viene dal Kosovo. Si sa, con tutto l’inquinamento che c’e’, poi non e’ che l’acqua e’ proprio purissima levissima. Corre voce che nella popolare acqua kosovara Bonita un paio d’anni fa abbiano perfino trovato del DNA umano (!). Tutto fa brodo. Proteine.

Voi invece che abitate in Italia: abbiamo speso fantastilioni di dollari per fare dei super impianti di depurazione della nostra acqua del rubinetto e mo ci beviamo solo quella in bottiglia? Aoh?

E poi pare che come al solito sia tutta colpa della TV

Samopravo.net supporta la campagna “mettiamola fuori legge

lemonhead addio…

Prima o poi doveva succedere: il buon giorgetto mi ha cacciato via a calcioni.

Stanco di prestare il suo rispettabile (?) sito alle mie fregnacce, qualche giorno fa il prepotentone mi ha intimato lo sfratto. Gli ho chiesto almeno il tempo di salvare tutto, fare le valigie e spostarmi, ma lui e’ stato inflessibile: ti do quarantott’ore.

Mi sono allora andato a cercare un altro angolo di mondo (pardon, di web) tutto mio, da dove continuare a intrattenervi. In quei giorni, come oggi, quando proprio non sapete come tirare fino alla pausa pranzo.

Da oggi quindi chiudo i ponti con l’arrogante giorgetto (ovviamente tutto quello che ho detto sul suo conto e’ falso, in realta’ sotto mentite spoglie sono ancora sul suo server, e mi ha pure pagato la registrazione del dominio), chiudo le trasmissioni su lemonhead, e ricomincio da “Samo Pravo!“.

Mubarek Ramadan!

Forse non ve ne sarete accorti, ma oggi e’ iniziato il Ramadan. O Ramazan, non ho ancora ben capito se si puo’ dire in tutti e due i modi o che. Un bel mesetto di digiuno e preghiera per tutti gli amici musulmani. Non se magna, niente sigarette, basta caffe’, manco l’acqua si puo’ bere.

Non tutti lo fanno, ma alcuni lo prendono puttosto sul serio. Come questi che a Peja (Pec), una zona super-albanese del Kosovo, hanno attaccato dei volantini comunicando che “Ramadan is a holy month, those who open their coffee bars and restaurants during day time, let them know that they will be punished and that they are Serbians.”

Va be’.  Io per celebrare il mio Ramadan laico come si deve (oggi qui era vacanza) sono andato a fare un po’ di contemplazione spirituale in montagna a Bresovica. Il ettori piu’ affezionati si ricorderanno del mio piccolo reportage di quest’inverno sulle piste sgangherate di questa remota localita’ semi-turistica.  D’estate e’ altrettanto bello e sgangherato. E’ la seconda volta che ci vado, con la mia amica americana Becky.

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Una tipa molto simpatica, ma con la pericolosa tendenza ad esaltarsi quando vede una salita. Piu’ ripida e’ piu’ e’ alta la probabilita’ di trovarcisi presto sopra, a quattro zampe, a scalarla.

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Il posto e’ veramente bello. Oggi faceva un po’ freddino, ma andava giusto bene per non sudare e non faticare troppo. Con un sacco di nuvole che ci passavano veloci sull testa, e un buon profumo di erba che mi ha fatto dimenticare con piacere i miasmi di Pristina.

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Comunque, quelli che dicono che il kosovo e’ una porcheria dovrebbero venire a farsi un giro qui, o ai monasteri, o a Brod, o a Prizren. Ce ne sono di luoghi belli da vedere, anche in un posto sfigato come il Kosovo.

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Sulla via del ritorno abbiamo pure trovato de soldati ucraini della KFOR che se ne andavano in giro in montagna con il loro carro armato. Ci hanno subito fermato, e forse pensando che fossimo dei locali hanno voluto farsi una foto con noi. saltavano fuori da sto carroarmato come dei conigli dalla tana. Cosi’ ci siamo fatti la foto tutti insieme, con gli ucraini. Non che ci siamo detti molto. Ma dopo un po’ e’ pure saltata fuori una telecamera, un ucraino ha filmato per qualche secondo noialtri in posa per la foto. Al che ho azzardato un “ciao mamma”, per movimentare un po’ la faccenda, ma non ho avuto molto seguito.

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Poveracci, incontrare noi sara’ la cosa piu’ eccitante che gli e’ capitata negli ultimi tre mesi. Mah.

Comunque, dopo quattro o cinque ore di camminata me ne sono ancora andato bel bello a farmi lo stampo serbo per andare appunto in Serbia. Un giretto attraverso tre Stati (dovrei dire due e mezzo, dato che uno e’ il Kosovo) e altrettante frontiere. Quelle quattro ore di macchina chef a sempre piacere farsi. E domani si va a Belgrado!

Dokufest

Oggi inizia l’evento culturale piu’ interessante del Kosovo: il Dokufest di Prizren, un festival di film corti e documentari. Lo organizza un nostro amico di Prizren, molto in gamba. Non credo che nessuno di voi ci verra’. Ma in ogni caso potete dare un’occhiata al sito, no? Comunque, dura fino a domenica. E’ interessante (e confortante) scoprire che esiste un po’ (sottolineo, un po’) di vivacita’ culturale pure in queste grigie citta’.

Non molta. Un po’.

Ieri sera invece, al ritorno da un bel weekend rilassante a Nis, sono andato improvvisamente e violentemente a sbattere contro il vecchio grigiume balcanico.

Faceva un freddo boia, alla fontiera (pardon, confine amministrativo) tra Serbia e Kosovo. Notte, undici e mezza, pioggia.  Dopo un’ora e mezza di buche, salti e tergicristallo, cominciavo davvero ad accarezzare l’idea di casa mia e del mio letto.

Peccato che tra me e Pristina ci fosse la frontiera.

Una cosa che noi in Europa abbiamo praticamente dimenticato e’ il concetto di frontiera. Da noi non c’e’ quasi piu’. Aspettare, dover dimostrare che tu sei tu, che puoi passare. Dover rispondere alle domande, aprire il bagagliaio, polizia che ti fruga tra la roba. Soprattutto aspettare, tutti in coda, con pazienza. Gran sigarette e chiacchiere con i compagni di attesa.

Dicevo, la frontiera (ops, confine). Questa volta non si e’ trattato delle code, interminabili, che di solito si appalesano quando c’e’ di mezzo la polizia serba. Soprattutto al confine col Kosovo, questi simpaticoni ci mettono almeno 5 minuti per ogni macchina. Facendo un rapido calcolo, se hai 15-20 macchine davanti (cosa non rara), stai li’ un’ora e mezza o giu’ di li’. Ah, dimenticavo di dire che a volte c’e’ uno che lavora, e altri tre che bevono il caffe’, fumano o (non sto scherzando) giocano col cane, mentre tu sei li’ che aspetti, in fila, aspetti…

Stavolta pero’ come dicevo non si e’ trattato delle code, ma della macchina.

La polizia kosovara mi chiede l’assicurazione della macchina. Gli do la carta verde, con una bella dichiarazione della mia assicurazione – me la sono fatta fare apposta – che dice che copre anche il Kosovo.

“Questa non copre il Kosovo”, mi dicono. Gli faccio notare che veramente c’e’ scritto esattamente il contrario. Ma l’argomento non sembra essere abbastanza persuasivo. “Questa non vale, con questa non entri”.

La mezz’ora successiva di discussione serve solo a ripetere piu’ volte gli stessi concetti, c’e’ scritto ma non e’ vero. Il succo e’ che devo pagare 50 euro per un’assicurazione temporanea di 2 settimane.

Casualmente c’e’ un ufficio li’ alla frontiera, con un ciccione che dorme su un divano, ma ben felice di essere svegliato se e’ per spillarmi cinquanta euro.

Il guaio e’ che non ce li ho. Devo andare a ritirare a un bancomat, ma dove? Dietro di me ci sono cento chilometri di campagna, curve e buche. Avanti, non posso andare, dato che (ricordate?) per la polizia la mia macchina non puo’ circolare.

La soluzione si manifesta ben presto sotto forma di vecchietto, amico del poliziotto, che scatta in piedi offrendomi un passaggio “like a taxi”, dice, mi paghi quello che vuoi tu. D’accordo.

Peccato che, una volta saliti in macchina, si scopre che quello che voglio io non corrisponde a quello che vuole lui. Altri 10 euro che se ne vanno, per fare otto chilometri fino al primo bancomat. Tiro i miei soldi, ripartiamo, e dopo duecento metri si ferma – al buio tra l’altro, perche’ la luce in paese era saltata. Qui mi rapina, penso. “Mangiare, mangiare” mi fa invece. E vedo che indica un bar. “Solo dieci minuti”.

Penso di star sognando, sono con un vecchiaccio a mezzanotte sotto la pioggia al buio, trecento euro in tasca, la mia macchina e’ in ostaggio alla frontiera e questo non solo mi ciuccia dieci euro per un passaggio, ma mi molla pure li’ come un babbeo per andarsi a fare un panino. Nascondo i soldi nelle scarpe, il vecchio torna con un paio di panini extra, probabilmente per gli amici poliziotti, “tutto a posto, scusa tanto, mi dispiace”. Lascia stare.

Intanto alla frontiera hanno trovato una circolare che chiarisce finalmente tutto: tutte le macchine che non hanno un’assicurazione valida per il Kosovo devono fare quella integrativa da 50 euro.   Ma se ti ho detto che la mia vale.   No, non vale.   Appunto.